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Doppio negozio e doppia tassazione

Doppio negozio doppia tassazione - Numero Civico 17

Doppio negozio, doppia tassazione, anche se la compravendita è unica.

Nel caso in cui possa validamente ritenere che nell’atto registrato siano contenute distinte disposizioni riguardanti lo stesso bene, ognuna deve essere sottoposto a imposizione.

Nell’ipotesi di una doppia cessione di un bene è ammessa la tassazione unica esclusivamente nel caso in cui ciascun atto di disposizione produca i propri effetti in correlazione all’altro, e non autonomamente. Lo ha affermato, accogliendo le tesi dell’Ammirazione finanziaria, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte con la decisione n. 14 del 23 gennaio 2023.

A rilevare è, infatti, l’effettiva adozione di due autonome disposizioni e non invece la volontà o l’interesse delle parti alla realizzazione di un’unica operazione di compravendita.

Il fatto e il ricorso in primo grado

Due contribuenti acquistavano la piena proprietà di alcuni appezzamenti di terreni, acquisendo il diritto di usufrutto e la nuda proprietà da soggetti diversi.
A seguito dell’autoliquidazione delle imposte effettuata dal notaio che aveva seguito la compravendita, l’ufficio finanziario emetteva un avviso di liquidazione con cui richiedeva maggiori imposte di registro e ipocatastali rispetto a quelle versate, in quanto l’atto di compravendita prevedeva una doppia cessione, del diritto di usufrutto e di quello di nuda proprietà, effettuata da parti differenti.

Avverso tale avviso, il notaio proponeva istanza di reclamo/mediazione evidenziando la correttezza della tassazione da lui proposta e chiedendo l’annullamento dell’atto impositivo. A giudizio del professionista, infatti, sarebbero soggette a imposta le sole formalità di trascrizione a prescindere dal numero delle parti e dalle disposizioni che esse contengono, con la conseguenza che qualora un atto comporti una sola trascrizione, la tassazione dovrebbe essere quella di una sola imposta ipotecaria e di una sola imposta catastale.

L’ufficio confermava il suo operato decidendo di non agire in autotutela sul proprio avviso di liquidazione e così il notaio proponeva ricorso dinanzi alla competente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado.

In merito, i giudici tributari avallavano la tesi del professionista, affermando come risultava a loro giudizio chiaro che gli acquirenti, nell’unico atto stipulato, avessero l’intenzione di acquistare, immediatamente, l’intera proprietà dei beni e che, per farlo, non potessero che acquistare i due diritti reali di usufrutto e di nuda proprietà dai rispettivi aventi causa. In altri termini, secondo i giudicanti di prima istanza, per realizzare, in modo certo e sicuro, l’intento perseguito, gli acquirenti non potevano che concludere un atto in cui, contestualmente, acquistavano, dai rispettivi aventi causa, i due distinti diritti che, riunificati proprio dall’atto stipulato, raggiungevano lo scopo obiettivo perseguito. A tale atto andava, quindi, giustamente applicata una tassazione unica.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte di Giustizia di primo grado procedeva ad annullare l’atto impositivo dell’ufficio.

L’appello dell’Ufficio e la decisione dei giudici di appello

Avverso tale decisione dei giudici di primo grado, l’Agenzia delle Entrate proponeva appello dinanzi alla competente Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, lamentando violazione e/o errata applicazione dell’articolo 21 del Dpr n. 131/1986 (Tur).

In proposito, la norma ora citata disciplina la figura dell’atto contenente più disposizioni e la relativa tassazione, stabilendo, al comma 1, che se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente per la loro intrinseca natura le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto.

Il successivo comma 2 afferma, invece, che se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente per la loro intrinseca natura le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa.

Definitivamente pronunciandosi sulla questione, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte ha dato ragione all’Amministrazione Finanziaria, riformando la sentenza di primo grado.

Nell’ipotesi di un atto, infatti, che come nel caso di specie prevede la cessione della nuda proprietà e dell’usufrutto da parte di soggetti diversi, occorre preliminarmente stabilire se a fronte dell’unico atto corrisponda un solo negozio (il cosiddetto negozio complesso, regolato dal comma 2 dell’articolo 21 del Tur) o più negozi giuridici distinti (il cosiddetto collegamento negoziale regolato invece dal primo comma dello stesso articolo 21). E nel valutare la differenza fra il negozio complesso e i negozi collegati, hanno statuito i giudici piemontesi, occorre riferirsi alla causa e agli effetti giuridici di ogni singola disposizione, non avendo invece rilevanza l’interesse delle parti alla conclusione o meno di un unico negozio.

Sul punto, i magistrati di secondo grado hanno ricordato come la Corte di Cassazione, con sentenza n. 19245/2014 abbia affermato che, in definitiva, la distinzione tra i commi 1 e 2 dell’articolo 21 del Dpr n.131/1986 coglie la differenza fra il negozio complesso e i negozi collegati, in virtù della quale il primo è contrassegnato da una causa unica, mentre nel collegamento negoziale, distinti ed autonomi negozi si riannodano in una fattispecie complessa pluricausale, della quale ciascuno realizza una parte, ma pur sempre in base a interessi immediati e autonomamente identificabili. Dunque, per la Cassazione sussiste un’ipotesi di negozio complesso solo nel caso in cui ciascuna disposizione non possa produrre i propri effetti se non in correlazione con le altre disposizioni.

Ancor più recentemente, la Corte Suprema ha ribadito il principio in base al quale ciascuna disposizione di un diritto su un bene, seppur contenuta nello stesso atto, deve essere assoggettata ad autonoma tassazione. Con ordinanza, infatti, n. 7154/2021, i giudici di legittimità, dopo aver chiarito che per “disposizione” si intende ogni atto autonomamente suscettibile di valutazione patrimoniale, hanno precisato che per considerare le varie disposizioni negoziali di un bene inevitabilmente connesse tra di loro, deve sussistere una necessaria e reciproca dipendenza causale tra loro, non potendo ciascuna disposizione produrre i propri effetti se non in correlazione con le altre. Solo in questo caso, riconducibile al negozio complesso, l’atto sarà soggetto a un’unica tassazione ai sensi dell’articolo 21, comma 2, Tur.

Al riguardo, i giudici tributari di appello di Torino hanno ritenuto, contrariamente a quanto statuito dai giudici di prime cure, che nella fattispecie in esame si possa validamente ritenere che nell’atto in esame siano contenute diverse disposizioni dello stesso bene, ognuna autonomamente tassabile. La circostanza, infatti, che, nel caso in esame, con i due trasferimenti di diritti reali del medesimo cespite si sia attuato il trasferimento a terzi di tutti i diritti inerenti la proprietà, non fa venir meno l’autonomia sul piano causale di ciascuna cessione, sebbene collegate dalla causa complessiva dell’operazione.

La Corte di Giustizia di secondo grado del Piemonte ha dunque concluso, anche sulla scia di quanto disposto dalla Cassazione che, nel caso in cui, con un unico atto, si disponga dello stesso bene in due modi diversi, non essendovi tra i due atti dispositivi una connessione oggettiva indotta dalla loro natura, ma dipendente dalla mera volontà delle parti, le due disposizioni negoziali, quantunque contenute nello stesso atto, devono essere tassate autonomamente.

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